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DALLA CASSAZIONE PENALE: La coltivazione domestica di piante stupefacenti per uso personale è reato?

Con una recentissima sentenza, la n. 12348 emessa il 16 aprile 2020, le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono intervenute nuovamente, ma con un diverso indirizzo, sulla questione della configurabilità del reato di coltivazione di piante da cui siano ricavabili sostanze stupefacenti.

 

Sul punto, la Suprema Corte si era già espressa, ritenendo penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione, anche se realizzata per l'uso personale della sostanza: ciò in quanto la “coltivazione”, a differenza della “detenzione”, era considerata attività suscettibile di creare nuove e non predeterminabili disponibilità di stupefacenti, non stimabile a priori anche in termini di offensività (Sent. n. 28605 del 24.04.2008). 

A quell'orientamento, tuttavia, se ne era subito contrapposto un altro, che, richiedendo un quid pluris, aveva ricondotto l’offensività dell’illecito di coltivazione alla capacità effettiva e attuale della sostanza ricavabile a determinare un effetto drogante.

  

La questione, quindi, è stata rimessa alle Sezioni Unite, le quali, con la pronuncia in esame,  hanno affermato che in termini di offensività in concreto (quale criterio interpretativo affidato al giudice, il quale è tenuto a verificare che il fatto abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene tutelato), il reato non potrà essere ritenuto sussistente qualora si verifichi ex post che la coltivazione abbia effettivamente prodotto una sostanza inidonea a produrre un effetto stupefacente.

Tutto ciò con una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività, ritenendo lecite la coltivazione domestica a fine di autoconsumo (pur rimanendo soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990), nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo sviluppo delle piante, non produca sostanza stupefacente.

 

Di seguito il principio di diritto “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore”. 

[Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza n. 12348/2020; depositata il 16 aprile]

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